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Enciclopedismo, filologia, poesia: l’eredità del Medioevo (Capitolo I. L’enciclopedismo / I. 4,1b. Isid

2025-03-23 17:50

Claudia Pandolfi

Letteratura latina medievale, Scritti enciclopedici romani, rinascenza visigotica, Etimologie, Braulione, etymologia ex origine, etymologia ex causa, Scritti enciclopedici romani,

Enciclopedismo, filologia, poesia: l’eredità del Medioevo (Capitolo I. L’enciclopedismo / I. 4,1b. Isidoro di Siviglia)

Nato a Cartagena da una antica famiglia ispano-romana, alla morte deigenitori fu il fratello maggiore Leandro ad essere responsabile della educazioned

Nato a Cartagena da una antica famiglia ispano-romana, alla morte dei genitori fu il fratello maggiore Leandro ad essere responsabile della educazione di Isidoro (570-636), assieme a quella degli altri tre fratelli minori. Finì, piccolissimo, in uno dei monasteri della zona, dove maturò una profonda conoscenza degli scrittori latini: l’esperienza monastica contribuì a render chiaro, all’Isidoro dell’età matura, come la questione dell’istruzione fosse di capitale importanza per il clero: a questo proposito, divenuto vescovo, fondò a Siviglia un collegio per l’istruzione dei giovani ecclesiastici e stabilì che simili istituti dovessero esistere in ciascuna diocesi. Particolarmente intensa fu anche la sua attività in ambito pastorale, che portò alla conversione dei visigoti e che lo vide opporsi frontalmente all’arianesimo (la dottrina cristologica elaborata dal monaco egiziano Ario del III-IV secolo, e condannata come eresia al primo concilio di Nicea (325), in cui si sosteneva che la natura di Gesù fosse sostanzialmente inferiore a quella di Dio, contraddicendo così il dogma della Trinità). Convocò e presiedette il concilio di Toledo (633) – a tutt’oggi annoverabile fra i più importanti fra quelli tenutisi nella penisola iberica – e i due di Siviglia (619 e 625), nei quali vennero dibattute, fra l’altro, questioni amministrative (legate ai confini diocesani) e teologiche (la repressione dell’eresia monofisita che negava la natura umana di Cristo, affermandone l’unica natura divina).  

Fu vescovo di Siviglia a partire dal 599/600, carica nella quale succedette al fratello Leandro, anch’egli importante figura di letterato, che aveva iniziato la sua vita religiosa come monaco benedettino, e che è ricordato per essere riuscito a convertire dall'arianesimo la casa reale visigota.  

Nella sua qualità di vescovo, Isidoro ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende politico-religiose della Spagna, dominata dai visigoti (da lui convertiti), e come promotore e massimo rappresentante di un risveglio della cultura e delle lettere.  

Fu anche grazie a Leandro e ad Isidoro che, nella penisola iberica, contrariamente a quanto accadeva in Italia, la produzione letteraria in prosa e in versi fu, fino al VII secolo, di alto livello.  Isidoro è dunque uno degli artefici di quella che si può chiamare “rinascenza visigotica”: una rinascenza che, di fatto, elabora un compendio del sapere a cui faranno ricorso per secoli per i secoli i dotti di tutta l’Europa occidentale.  

Gli interessi culturali di Isidoro abbracciano tutto il campo dello scibile di quei tempi: le Arti liberali, il diritto, la medicina, le scienze naturali, la storia, la teologia dogmatica e morale. Individuati nei Goti i fondatori del nuovo stato nazionale, egli si propone il recupero della cultura classica non in chiave nostalgica, ma per attrezzare il nuovo popolo alla sua storia futura, per fornirgli l’essenziale del sapere antico nelle forme più semplici e comprensibili, senza discriminazione fra testi cristiani e testi pagani: un progetto culturale che si accompagna con un concreto impegno politico, una proposta organica e funzionale di sistemazione della cultura ai fini della formazione delle nuove generazioni e dei nuovi ceti dirigenti.     

 

Nell’ambito dei suoi vasti interessi culturali, e all’interno del suo progetto culturale, Isidoro scrisse molto e di vari argomenti.  

In gran parte, la sua produzione è di carattere religioso ed ecclesiastico: fra i testi più importanti, il De numeris (un’interpretazione dei numeri che si incontrano nella Bibbia), il De fide catholica contra Iudaeos (un trattato di polemica antigiudaica), i De ecclesiasticis officiis libri duo (due libri importantissimi per le descrizioni delle funzioni ecclesiastiche nella Chiesa gotica del tempo), le Allegoriae (in cui sono raccolte brevissime spiegazioni, di carattere spirituale, di espressioni e nomi biblici), il De ortu et obitu Patrum qui in scriptura Laudibus efferuntur (una raccolta di brevi biografie di personaggi biblici).  

Non mancano però anche scritti storiografici, come il De viris illustribus (Uomini illustri), i Chronica (una storia universale, dalla creazione del mondo fino al 615), o l’Historia de regibus Gotorum, Vandalorum, Sueborum (una storia che si occupa principalmente dei re gotici, le cui conquiste e il cui governo avevano profondamente influenzato la società spagnola, mentre la parte sui vandali e gli svevi è trattata in due brevi appendici): quest’ultima, scritta forse su ispirazione dell’Historia Gothorum, Vandalorum, Sueborum di Cassiodoro.  

Abbiamo poi il De natura rerum (La natura delle cose, in cui si tratta di astronomia e meteorologia alla maniera delle senecane Questioni naturali).  

Particolarmente importanti nel contesto del nostro discorso sono infine – come vedremo – le Differentiae e i Synonimorum libri duo.  

L’opera fondamentale di Isidoro sono, in ogni caso, le Origines sive Etymologiae (Origini o Etimologie), in venti libri, composti fra il 615 e la morte: in essa, partendo dalle parole usate per definire le varie arti e scienze, e dai termini relativi ai concetti e agli strumenti, Isidoro cerca, attraverso l’etimologia, di risalire alle radici, alla verità originaria, e nello stesso tempo di conservare e di diffondere conoscenze e tecnologie che altrimenti si sarebbero perdute. Il tutto, nella convinzione che la natura delle res possa essere indagata a partire dal significato delle rispettive voces che le designano: il presupposto è dunque la corrispondenza necessaria fra parole e cose. Peraltro, anche a prescindere da Cassiodoro, che come abbiamo visto ne fa ampio uso, ricordiamo che il valore dell’etimologia come strumento pedagogico era già riconosciuto nei manuali scolastici tardo-antichi, dove erano incluse definizioni etimologiche, utili a fissare il concetto favorendone la memorizzazione.  

I venti libri sono divisi per argomento: all’inizio sono le arti del trivio e del quadrivio (1-3), seguono altre attività come la medicina e le leggi (4-5), poi problemi di carattere teologico di vita religiosa (6-8), le lingue, i popoli, gli stati, gli eserciti, i cittadini, i parenti (9).  

Il decimo libro è un vero e proprio dizionario etimologico, con la spiegazione di una lunghissima serie di parole più o meno difficili, collocate in ordine alfabetico da Aeros (eroe) a Venator (cacciatore). Alcune etimologie trovano tuttora una più o meno precisa rispondenza, ma la maggior parte sono per così dire più fantasiose, stabilite sulla base di assonanze e congruenze, o semplicemente fondate sull’uso della parola nella latinità classica: né poteva essere altrimenti vista l’epoca e la totale mancanza di una base scientifica da cui prendere le mosse.  

Bastino alcuni esempi:  

«Adrogans, arrogante, in quanto rogat multum, il che significa chiede molto, e causa fastidio – Beatus, beato, quasi bene auctus, il che significa ben accresciuto, perché ha ciò che desidera e non soffre nulla di ciò che non vuole. Davvero beato è chi ha tutti i beni che desidera e non desidera nulla di male: queste due condizioni, infatti, fanno l’uomo beato – Balbus, balbuziente, in quanto piuttosto che parlare balat, il che significa bela: un balbuziente, infatti, non articola bene le parole – Castus, casto, in principio da castrazione: successivamente, piacque agli antichi dare questo nome a coloro che promettevano astinenza perpetua dai piaceri della carne – Debilis, debole, in quanto divenuto per bilem fragilis, il che significa fragile a causa della bile: la bile è infatti umore nero che svigorisce il corpo – Exilis, esile, sottile, in quanto può exireuscire, attraverso un passaggio pur strettissimo – Fecunda, feconda, da feto, quasi fetonda: è infatti una donna che partorisce con frequenza – Ingeniosus, ingegnoso, in quanto intus habet vim gignendi, il che significa ha dentro di sé la capacità di creare qualunque cosa con arte – Misermisero, così chiamato propriamente, in quanto amiserit, ossia ha perso, ogni felicità. Secondo Cicerone significa, propriamente, morto: nelle Tusculane, egli dà ai morti il nome di miseri, in quanto ormai amiserunt, ossia hanno perso, la vita – Ospesospite, in quanto spinge ostio pedem, il che significa sulla soglia il piede. Ospite è anche la persona disponibile, opportuna ed ostio patens, ossia che tiene la porta aperta, donde anche l’aggettivo ospitaleSuperstitiosos, superstiziosi, dice Cicerone, furono chiamati coloro “che tutti i giorni pregavano ed offrivano vittime perché i propri figli superstites essent sibi, ossia sopravvivessero loro [La natura degli Dei, II, 72]»     

 

I secondi dieci libri affrontano argomenti più ‘scientifici’: uomini e mostri (11), animali (12), l’universo e le sue parti (13), la terra e le sue parti (14), case e campagne (15), rocce e metalli (16), agricoltura e giardinaggio (17); curiosi per gli strani accostamenti sono gli ultimi tre libri, rispettivamente sulla guerra e i giochi (18), sulle navi e gli edifici e i vestiti (19), sulle cibarie e gli utensili per la casa e la campagna (20).  

Da notare anche che Isidoro parla occasionalmente della musica, e, nel farlo, fissa una parte della terminologia musicale che fu in uso nel Medioevo, influenzando notevolmente la teoria musicale di quei secoli.  

Parlando delle Istituzioni di Cassiodoro, abbiamo detto che Isidoro ne utilizzò il secondo libro, che di fatto sottende i primi tre libri delle Etimologie dedicati appunto alle Arti liberali. In questi ultimi, la trattazione è molto più estesa, ma numerosi sono i punti di contatto con quella cassiodorea: simile è, ad esempio, la definizione di ars, come pure le brevi definizioni iniziali delle sette Arti; similmente a Cassiodoro, anche Isidoro, nel libro III, pone poi la trattazione del quadrivio sotto il titolo generale di Matematica, scienza teorica suddivisa nelle quattro specie dell’aritmetica, della musica, della geometria e dell’astronomia; e, come Cassiodoro, anche Isidoro ha un atteggiamento censorio nei riguardi dell’astrologia. Del tutto nuova e originale è però la vastità degli interessi di Isidoro – interessi di cui le Arti liberali rappresentano solo una piccola parte –, nonché la struttura dispositiva dell’intera opera, che – così come l’abbiamo oggi – è illuminante di una nuova idea di enciclopedismo.  

Abbiamo parlato degli scritti enciclopedici nel mondo romano, ed abbiamo visto come, al loro interno, ci fosse una sorta di enciclopedismo delle Arti, sia liberali che meccaniche.  

Ricordiamo ad esempio Varrone, con i suoi Disciplinarum libri novem (Nove libri sulle discipline); Celso, con i suoi Libri octo de medicina (Otto libri sulla medicina), che appartenevano però ad un grande insieme che l’autore avrebbe denominato Artes, destinato a comprendere, nell’ordine, Agricoltura, Medicina, Retorica, Filosofia, Arti belliche, e forse Diritto; Marziano Capella, con il suo De nuptiis Mercurii et Philologiae (Le nozze di Mercurio e Filologia); e ricordiamo anche Catone, con il suo De agricoltura (L’agricoltura), ma soprattutto con i perduti Praecepta ad filium Marcum (Precetti al figlio Marco), ovvero una serie di operette sulla medicina, la retorica, l’arte militare, ecc..  

Oltre a quella di Catone sull’agricoltura, non vanno poi dimenticate le diverse monografie aventi per oggetto l’una o l’altra delle Arti, come i tre trattati De re rustica (Sull’agraria) scritti rispettivamente da Varrone, Columella e Apuleio; o come – sempre di Apuleio – i Medicinalia (Rimedi medici) e il De musica (La musica); o ancora come il De architectura (L’architettura)di Vitruvio, e l’Institutio oratoria (Istituzione oratoria) di Quintiliano.  

E c’erano anche, nel mondo antico, una serie di materie dottrinali fuori dal cerchio delle Arti, ovvero della enkuklios paideia, o solo parzialmente integrabili in essa, come la cosmografia e la cosmologia, la meteorologia, la geografia, l’antropologia, la scienza degli animali e delle piante, ecc.. E altrettanto estranee al mondo delle Arti erano la storia politica, la storia della cultura, la storia delle religioni. Ricordiamo le Antiquitates rerum humanarum et divinarum (Antichità umane e divine) e le Imagines (Ritratti) di Varrone, il Liber annalis (Libro degli annali) di Attico, la Chorographia (Topografia) di Pomponio Mela, gli Stratagemata (Stratagemmi) di Frontino, i Collectanea rerum memorabilium (Miscellanea di cose memorabili) di Solino, il De arboribus (Le piante) e il De piscibus (I pesci) di Apuleio, il Liber memorialis (Il memoriale) di Lucio Ampelio.     

 

Nelle Etimologie, si tratta delle Arti liberali nei primi tre libri, di medicina e giurisprudenza nel IV e nel V; si tratta poi di Arti meccaniche negli ultimi quattro libri: in mezzo, antropologia, geografia, cosmologia, meteorologia, animali, piante, pietre, metalli, storia delle religioni e storia della cultura: una combinazione di scienze (applicate e pure), che viene a costituire un sistema dello scibile di carattere universale, e che non è però una sua invenzione, trovando quantomeno un precedente famoso nella Naturalis historia (Storia naturale) di Plinio.  

Sennonché, le Etymologiae non furono completate da Isidoro, ma pubblicate dal suo discepolo Braulione (590-651),  vescovo di Saragozza dal 626, anch’egli uno degli intellettuali più importanti della Spagna visigota. Fu lui, come vedremo, a catalogarle, a metterci i titoli e a dividerle in capitoli: e non sappiamo dunque quanto sia veramente isidoriana la struttura a cornice delineata.     

 

Abbiamo anticipato come, parlando di enciclopedismo, siano particolarmente importanti due opere di Isidoro, ovvero le Differentiae e i Synonimorum libri duo: la loro importanza è dovuta al fatto che entrambe testimoniano l’attenzione di Isidoro per una forma di conoscenza basata sul linguaggio. in primis le Differentiae. Basti dire che nel primo libro delle Differentiae (Differentiae verborum), che è di fatto un lessico, sono enumerate alfabeticamente più di seicento differenze fra termini apparentemente sinonimici, accompagnati ciascuno da una discussione etimologica e semantica; nel secondo libro (Differentiae rerum), sono poste in evidenza le differenze fra “cose”, esaminando e distinguendo vari concetti relativi alla teologia, alla filosofia, all’etica, ecc.. I due libri dei Synonima, dal canto loro, costituiscono una trattazione lessicale e retorica, avente per scopo il perfezionamento della conoscenza linguistica come specchio della correttezza morale: un connubio – quello fra linguistica ed etica – particolarmente originale, così come è originale l’utilizzo di una forma letteraria a carattere psicologico e introspettivo, come è il dialogo interiore, per contenuti di tipo grammaticale: i Synonima sono infatti strutturati come un dialogo fra l’uomo, che lamenta la propria miseria, e la sua ragione, che gli mostra come l’infelicità affondi le radici nel peccato, insegnandogli nel contempo le norme della vita spirituale (per questa loro forma, già a partire dal VII secolo furono conosciuti col titolo di Lamentatio animae peccatricis Il lamento dell’anima peccatrice).     

 

Per quanto concerne la genesi delle Etimologie, noi non abbiamo notizie certe sul come nacque l’idea della loro composizione, né sulle motivazioni e gli obiettivi.  

Quando invia un saggio dell’opera al re Sisebuto, intorno al 620, Isidoro dichiara di avergli mandato un’opera sull’origine di alcune cose: il che fa pensare che, inizialmente – e col titolo di Origini – il progetto dell’opera fosse molto più ridotto. Anni dopo, Braulio, in una lettera, raccomanda ad Isidoro di inviargli una buona copia dell’opera – che molti posseggono in codici mutilati e corrosi –, al fine di provvedere ad una trascrizione completa, corretta e rilegata a dovere.  Del testo inviato a Sisebuto non resta traccia; il testo che abbiamo, al quale Isidoro lavorò fino al termine della sua vita senza riuscire ad ultimarlo, e che porta il titolo di Etimologie, deve la sua messa a punto proprio a Braulio, che afferma di avere distribuito la materia in venti libri.  

Elementi indiscutibili ci confermano peraltro una precedente suddivisione in tredici libri, che parrebbe addirittura implicare una struttura e una costruzione più solida dell’attuale: ma la vera antichità e origine di questa suddivisione non è affatto stabilita. Nemmeno è chiara la notizia di Braulio secondo cui, quando ricevette l’opera, essa sarebbe stata suddivisa per titoli e non per libri (sarebbe dunque sua l’attuale divisione): sta di fatto che nessun manoscritto di quelli che pure sembrano trasmettere una lezione pre-Braulio presenta una tale divisione per titoli.  

In ogni caso, la distribuzione in venti libri ricorda la partizione delle Notti Attiche di Gellio e del De compendiosa doctrina (Compendio di dottrina) di Nonio Marcello: ovvero si pone sulla linea delle compilazioni antiquarie. Sicuramente è questa l’idea che delle Etimologie ha Braulio: non sappiamo però se tale visione coincida col pensiero di Isidoro o non sia piuttosto qualcosa di aggiuntivo.   

Sembra certo che l’opera non avesse alcuna prefazione, ma qualche punto di riferimento può fornirlo la lettera indirizzata a Sisebuto, che troviamo trascritta all’inizio, in molti dei codici più antichi. In essa Isidoro dice che la sua opera «sull’origine di alcune cose» si basa su materiali «tratti da ricordi di letture degli scrittori antichi», appuntati e redatti secondo lo stile degli antichi. Da essa possiamo inoltre dedurre alcune notizie in relazione al metodo: la redazione procede per sezioni, man mano che si dispone di materiali sufficienti; temi inizialmente non previsti vengono sviluppati sulla base della stessa dinamica espositiva; i materiali sono a volte sunteggiati e semplificati; le etimologie richiedono una investigazione approfondita poiché spesso non sono facilmente reperibili; il proposito di spiegare l’origine delle cose deve spesso ridursi all’offrire una breve etimologia. La ‘brevità’ appare insomma come una necessità imprescindibile.     

 

Un’ultima annotazione sull’etimologia e le fonti.  

Isidoro sembra distinguere fra etymologia ex origine (secondo l’origine di un nome) ed etimologia ex causa (secondo ciò che il nome è). L’uso di fonti idonee gli consente di offrire molto spesso etimologie ammissibili.  

Fino a poco tempo fa, le considerazioni sulle fonti si basavano sulle numerose citazioni di autori classici presenti nei vari libri (sedici da Plauto, quattordici da Terenzio, dodici da Ennio, tredici da Lucrezio, cinque da Varrone, cinquantasette da Cicerone, diciassette da Sallustio, ben duecentosessantasei da Virgilio, quindici da Orazio, quindici da Ovidio, quarantacinque da Lucano, sedici da Plinio, quattordici da Marziale, undici da Persio, e altre in numero più ridotto da altri autori): ma tali menzioni hanno in realtà solo un valore rappresentativo. Ben più complicata è la realtà se si indagano le fonti a partire dal testo, poiché si evince immediatamente – ed è peraltro un principio usuale dell’epoca – che non sono mai citate le opere utilizzate e di cui ci si serve direttamente. Le vere fonti di Isidoro si desumono da centinaia di ricerche concrete effettuate negli ultimi decenni, dalle quali emerge come egli abbia compiuto un vero e proprio saccheggio di autori: innanzi tutto, fra i pagani, Plinio, e poi Varrone, Lucrezio, Columella, Solino, Nonio Marcello, Gellio, Marziano Capella, e soprattutto Marco Servio Onorato. Quest’ultimo, infatti, per spiegare Virgilio, si prese la briga di radunare quanti più materiali gli fu possibile, e il suo minuzioso Commento, che possediamo in due diverse redazioni, servì come fonte di informazione per moltissima erudizione successiva (Servio è buona fonte per la mitologia antica, le dottrine filosofiche di moda, la storia e l’etnografia, la geografia, la botanica, la zoologia). E poi ancora, fra i cristiani, Lattanzio, Ambrogio, Agostino, Gerolamo, Orosio, Cassiodoro, Gregorio Magno, e molti altri.     

 

Nella nuova società dei secoli VI e VII, Boezio e Cassiodoro vivono in un revival dell’ellenismo, ma restano per così dire fedeli all’indicazione della strumentalità delle discipline nei confronti dei valori della vita cristiana; Isidoro, nelle sue Etimologie, non solo utilizza innumerevoli autori antichi, ma fa quasi in maniera esaustiva lo spoglio di autori della latinità classica.  

Proprio le Etimologie, nate da questa contiguità con l’enciclopedismo romano, rappresenteranno il modello enciclopedico nei secoli seguenti:  esse finiranno infatti col divenire una sorta di prototipo, e, nei secoli seguenti, mutati i contesti socio-politici, la loro lettura darà luogo, sì, a numerose deviazioni, ma rimarrà un paradigma da imitare, copiare, ricreare.