Molti sono i tipi di scritture librarie nell’Occidente latino: capitale quadrata, capitale rustica, onciale, semionciale sono le scritture che troviamo nei codici membranacei del IV secolo sopravvissuti; fra la fine del VII e l’VIII secolo, si assiste, a seconda dei luoghi, alla creazione e allo sviluppo di minuscole di tipo diverso, derivate dalla semionciale (Irlanda e Inghilterra) o dalla antica corsiva romana, rimasta come scrittura di ‘affari’ e di documenti ufficiali (visigotica in Spagna, beneventana nell’Italia meridionale, merovingica in Gallia); nel IX secolo abbiamo la minuscola carolina, che in pochi decenni conquista completamente l’impero carolingio, arrivando in Inghilterra nel X, e diventando alla fine del XII la scrittura predominante; dall’inizio del XIII secolo, la minuscola carolina risulta ormai trasformata in una scrittura più angolosa, grossa, meno bella, ed è la scrittura nota come scrittura gotica, definizione che raggruppa in realtà tre gotiche diverse (Bononiensis, Oxoniensis, Parisiensis); la scrittura umanistica, infine, il cui primo saggio può farsi risalire al 1402/1403, ad opera di Poggio Bracciolini, è un ritorno deliberato ad una forma più antica di carolina. A prescindere dalle caratteristiche delle singole tipologie, una cosa accomuna tutti i manoscritti, ovvero la difficoltà della loro lettura: i libri manoscritti sono difficili da leggere, perché la loro scrittura varia moltissimo da luogo a luogo e da epoca ad epoca. Per leggerli, bisogna conoscere la paleografia (palaios = vecchio + grapho = scrivo), cioè la disciplina che studia l’evoluzione storica della scrittura, che permette non soltanto di decifrare le diverse scritture, ma anche di datare i manoscritti e talvolta di riconoscere addirittura la mano di chi li ha scritti o glossati (soprattutto in caso d autografi, ma non solo).
