Il fatto che, oltre alle proprietà nutrizionali, si riconoscesse ai fichi – come afferma Plinio (Storia naturale, XXIII, 63) – anche la capacità di giovare ai convalescenti e a chi soffrisse di malattie polmonari (vedi I fichi nell’antica Roma: dall’umile desco degli schiavi alla ricca tavole dell’imperatore), ci porta ad indagare sui loro usi medicinali: usi che, ampiamente attestati nella medicina antica, sono in una certa misura giunti fino a noi, così come sono giunti fino a noi, ad esempio, i modi e le tecniche della loro essicazione e conservazione. Di fatto, il riconoscimento dell’efficacia terapeutica dei fichi – nonché delle foglie, delle gemme, del lattice e della radice della pianta –, che ha continuato nei secoli ad essere più o meno presente in diversi testi di medicina e farmacopea, si è mantenuto vivo nella medicina popolare di tutto il mondo fino a tempi abbastanza recenti, e trova oggi spazio nell’ambito della cosiddetta medicina naturale, i cui fondamenti derivano appunto da antiche tradizioni.

 

Per quanto concerne la medicina antica, un esempio significativo è rappresentato fra gli altri dal trattato del medico ed enciclopedista del I secolo d. C. Aulo Cornelio Celso.

Negli otto libri del suo trattato De medicina, che di fatto forniscono un sommario delle conoscenze greche e romane dell’epoca in campo medico, Celso nomina ripetutamente i fichi, sia freschi che secchi, evidenziando le loro elevate capacità nutritive (II, 18), e, nel contempo, le cautele da usare per loro eccessivo potere calorico e la pesantezza di digestione, che può generare anche flatulenza (II, 25 / 26 / 27); ne sottolinea le proprietà lassative, l’utilità – se mangiati freschi – nelle diete contro le costipazioni, le virtù purificative se mangiati secchi (II, 29 / IV, 19 / V, 5); insegna che i fichi grassi – quam pinguissimae ficus  (forse i grossi fichi nero-verdastri conosciuti come fichi lardaioli, o forse i grossi fichi secchi coperti di farina zuccherata come i dottati calabresi, o forse altri) – sono un valido aiuto per la tosse, e che un decotto di issopo e fichi secchi giova in caso di malattie polmonari (IV, 10 / 14), così come un decotto di fichi e vino al miele ha un effetto lassativo (VI, 10); elenca infine una lunga serie di medicazioni topiche – impacchi, cataplasmi, unguenti, colliri, ecc. – che vedono i fichi fra i loro componenti (ad esempio, in II, 35 / III, 21 / IV, 6 / IV, 31 / V, 9 / V, 18 / V, 21 / V, 28 / VI, 3 / VI, 6 / VI, 9 / VI, 13 / VI, 19 / VIII, 9). Basti ricordare i cataplasmi di fichi grassi ammaccati mescolati a miele, utili per fegato e milza   (III, 21); gli impiastri sul collo di fichi e pepe, consigliati ad esempio per il tetano (IV, 6); gli impiastri con capperi sminuzzati e intrisi con fichi cotti in acqua, per dare sollievo nelle malattie articolari dei piedi e delle mani (IV, 31), o quelli di fichi secchi e mentuccia, o di mentuccia e fichi secchi e grasso di toro, per tutti i dolori articolari  (V, 18); il pessario vaginale di fichi di Cauno e salnitro, per provocare il mestruo (V, 21). Ancora, si parla di fichi secchi contusi per gli ascessi cutanei, di fichi cotti nel vino mielato con aggiunta di issopo triturato per alcuni tipi di ulcere, di fichi cotti in acqua per alcune escrescenze callose; per la cura della vitiligine si consiglia un unguento a base di  alcionio, nitro, cumino, foglie secche di fico e aceto, e relativa esposizione al sole (V, 28); il ricorso a impacchi di fichi bolliti cura le malattie dermatologiche chiamate sicosi (VI, 3), così come un impiastro fatto con calcite, corteccia di mela granata e scaglie di rame, impastate in un fico grasso leggermente cotto nel miele, può essere efficacemente applicato alle unghie una volta che si sia dovuta recidere un’escrescenza alla loro base (VI, 19); la pitiriasi perioculare può essere curata tramite lavaggi con un decotto di mentuccia e fichi bolliti in vino mielato, e i fichi sono presenti in diversi decotti e colliri per infiammazioni agli occhi (VI, 6); in VI, 9 si trovano varie ricette, in cui i fichi rappresentano un ingrediente, per impiastri e decotti utili a curare il mal di denti, e in VI,13 si consiglia di tenere in bocca del vino mielato caldo, in cui siano stati cotti dei fichi secchi, per curare gli ascessi dentali.  Non ultimi, impiastri contenenti fichi aiutano a contenere il dolore da costole rotte – loglio, orzo e fichi grassi in parti uguali – (VIII, 9),  e sono utili per ridurre i calli ossei in fratture di altro genere – senape e fichi – (VIII, 10).

 

Una più che vasta panoramica di tutti gli usi medicinali dei fichi ci è peraltro offerta, in vari contesti, dallo stesso Plinio

Nel libro XX, leggiamo ad esempio che l’aglio, somministrato dentro un fico, è utile per purgare l’organismo (23); che il nasturzio, bevuto col vino o assunto con un fico, cura la milza (50); che la farina di semi di lino cotta coi fichi ha diverse proprietà curative (92).

Dal libro XXII, apprendiamo che il laser, con farina d’orzo e fichi secchi, è un utile rimedio per gli ascessi che non maturano (49); che i gargarismi fatti con olio di rose mescolato a crusca di frumento, fichi secchi e prugne cotte, giovano alla gola e alle tonsille (57); che un impiastro di  lupini crudi, pestati con fichi secchi e lasciati macerare in aceto si applica con buoni effetti alla milza (74), mentre uno di erisimo, con miele e fichi, risulta efficace per i disturbi all’ano e per le malattie delle articolazioni (75).

In XXIV, 10 si dice che le foglie del cipresso, bevute col vino e impiastrate con fichi secchi, cui siano state tolte le granella, curano i testicoli e dissolvono i gonfiori, mentre il composto, fermentato, cura la scrofolosi; con la pianta dell’iva  – si dice più avanti – si fanno pillole per gli idropici, che, assunte coi fichi, smuovono il ventre (20).

In XXV, 87 si consiglia di assumere issopo con fichi come purgante. Cinque rami di issopo, cotti con due di ruta e tre fichi fanno bene alla tosse, spurgando il petto; l’issopo cotto coi fichi cura la milza; l’artemisia, pestata nell’olio di iris, o coi fichi o con la mirra, è un buon unguento per le infiammazioni vaginali (XXVI, 15, 48, 90).

In XXVIII, 50 si dice che la colla fatta con i genitali del vitello, stemperata con aceto e con zolfo vivo, mescolata con un ramo di fico e spalmata fresca due volte al giorno cura l’impetigine del viso.

In XXXI, 46 è descritto un rimedio a base di salnitro, che, impiastrato coi fichi, o cotto nel vino passito fino a ridursi della metà, assottiglierebbe le scorticature degli occhi e le ruvidità delle palpebre e gioverebbe contro le ulcerazioni dell’iride.

Un vero e proprio campionario di rimedi – alcuni dei quali riconducibili sicuramente a Celso – ci offre inoltre il libro XXIII, dedicato alla medicine derivate da piante domestiche, e, al suo interno, soprattutto il già ricordato capitolo 63: basti ricordare che il suo succo lattiginoso, oltre a far coagulare il latte come il caglio, se raccolto prima che il frutto maturi, fatto essiccare all’ombra e applicato con il tuorlo dell’uovo, apre le piaghe, mentre, bevuto con amido, stimola le mestruazioni; nella gotta, si usa come unguento assieme a farina di fieno greco e aceto; fa cadere i peli; guarisce la dermatite delle palpebre, l’impetigine e la scabbia; contrasta il veleno di calabroni, vespe, insetti simili, e in particolare il veleno degli scorpioni; mescolato alla sugna rimuove i porri. Le foglie e i fichi acerbi si applicano sulle lesioni da scrofolosi e su tutto ciò che necessiti di una azione emolliente o di rimozione, e lo stesso effetto è prodotto anche dalle sole foglie; un altro loro uso consiste in frizioni per l’impetigine e l’alopecia e qualunque tipo di infezione che richieda un’azione caustica. I germogli teneri si applicano sulla pelle contro i morsi dei cani; gli stessi, uniti al miele, si spalmano sulle ulcere da foruncoli multipli, i cosiddetti vespai; assieme alle foglie di papaveri selvatici estraggono le schegge ossee. Le foglie di fico pestate nell’aceto attenuano il dolore dei morsi dei cani rabbiosi. I bianchi germogli del fico nero si spalmano, mescolati a cera, sui foruncoli e sui morsi del topo ragno; la cenere delle loro foglie serve per le cancrene e per ridurre le escrescenze carnose. I fichi maturi sono diuretici, lassativi, provocano sudore e vescichette, ragion per cui non sono salutari in autunno, perché un corpo che suda sotto l’effetto di questo cibo è soggetto a rapido raffreddamento; non fanno bene allo stomaco, ma solo per breve tempo, e sono ritenuti dannosi per la voce. I fichi tardivi sono più salutari dei precoci, ma quelli che hanno subìto trattamenti non lo sono mai; accrescono le energie dei giovani, migliorano la salute dei vecchi e fanno diminuire le rughe; sono dissetanti, danno refrigerio al calore, e perciò non sono da negare nelle febbri senza traspirazione. I fichi secchi sono nocivi per lo stomaco, ma sono utilissimi per la gola e la bocca; sono per natura calorifici e provocano la sete; sono purgativi, ma sono nocivi per le flussioni intestinali e per lo stomaco; sono sempre utili per la vescica e per la dispnea e l’asma, come pure per le affezioni di fegato reni e milza; sono ricostituenti ed energetici, ragion per cui se ne alimentavano un tempo gli atleti (fu l’allenatore Pitagora che per primo li sostituì con la carne nella loro dieta); giovano moltissimo – come s’è già detto – ai convalescenti da lunga malattia; se ne fanno cataplasmi in caso di epilessia e idropisia nonché in tutte quelle affezioni che necessitino di essere portate a maturazione o a rimozione, e sono ancora più efficaci se mescolati con calce, o salnitro, o polvere di iridio; cotti con issopo spurgano il petto, eliminando catarro e tosse cronica, mentre cotti col vino purgano ano e gonfiori alle mascelle; ridotti a decotto, si spalmano su foruncoli, ascessi e parotidi. Col loro decotto, unito a fieno greco, si curano anche le malattie femminili. I fichi fanno bene ai pleuritici e agli affetti da polmonite; cotti con la ruta giovano alle coliche, con l’ossido di rame rosso alle ulcere della tibia e alla parotide, con la melagrana alle escrescenze sopra le unghie, con la cera alle ustioni e ai geloni; cotti nel vino con assenzio e farina d’orzo curano l’idropisia; masticati con aggiunta di salnitro sono lassativi; pestati col sale si applicano sul morso degli scorpioni; cotti nel vino e applicati sopra portano a maturazione le pustole cutanee del carbonchio. È un rimedio singolare applicare sul carcinoma senza ulcerazione un fico il più grasso possibile, e lo stesso vale per le ulcere corrosive. La cenere di nessun albero è più acida di quella del fico, che quindi deterge, agglutina, ricrea, astringe; la si beve anche per sciogliere sangue coagulato, per traumi, cadute fratture, slogature, nella dose di un mestolo di cenere per uno di acqua e uno di olio; si somministra in caso di tetano, nelle convulsioni, e ancora, in pozione o in clistere, ai malati d’intestino e ai dissenterici; se la si spalma in unguento con l’olio ha proprietà calorifiche; impastata con cera e olio di rose, lascia sulle ustioni una cicatrice sottilissima; in unguento con olio cura la miopia, e, con frizioni frequenti, le affezioni dei denti. La corteccia pestata nell’olio guarisce le ulcere del ventre. I ‘grossi’ (ovvero i fichi che non arrivano a maturazione), pestati con salnitro e farina, rimuovono porri e verruche; la corteccia di fico nero, cotta in acqua piovana con foglie di gelso e corteccia di vite, serve nella tintura per capelli. La cenere dei polloni che escono dalla radice fa le veci dell’ossido di zinco: lavata due volte e addizionata di biacca, la si riduce in pastiglie per le ulcere degli occhi e le croste alle palpebre.

Non manca nemmeno il riferimento ad un rimedio ‘magico’, di origine chiaramente popolare:  si dice anche – scrive infatti Plinio – che, se qualcuno, tirato a sé l’albero, stando a capo supino, stacca con un morso un suo nodo senza che nessuno lo veda, e poi lo porta in un sacchetto di pelle legato al collo con un filo, vengono tenuti lontani scrofole e orecchioni. Di origine diversa, anche se ugualmente improbabile, risulta invece il rimedio descritto al capitolo 77, dove si racconta  che Pompeo Magno, avendo sconfitto il re Mitridate, trovò scritta di suo pugno la ricetta per un antidoto, che, assunto il mattino a digiuno, era valido per tutta la giornata contro ogni tipo di veleno: esso era composto di due noci secche, due fichi secchi e venti foglie di ruta pestati insieme con un pizzico di sale.

 

Come si può constatare, oltre al valore energetico e nutritivo, alle varie parti del fico e ai suoi frutti la medicina antica riconosceva dunque proprietà depurative, digestive, lassative, diuretiche, emollienti, espettoranti, decongestionanti, disinfettanti, antinfiammatorie, caustiche, e persino cosmetiche, nonché la capacità di agire sul flusso mestruale e di lenire vari tipi di dolore: proprietà a tutt’oggi riconosciute nella medicina naturale.

Crederci o meno, studi recenti porterebbero peraltro a supporre che i fichi possano anche avere effetti ipotensivi, epatoprotettivi, ipoglicemizzanti, antispastici, antidepressivi, ecc.

 

Quanto alla medicina popolare, in molte regioni d’Italia si trovano tracce di antiche ricette – soprattutto per la tosse, ma non solo – che vedono i fichi come ingrediente: a parte il diffusissimo decotto di fichi secchi, in Campania, per lenire la tosse, si preparava ad esempio un decotto con fichi secchi, mela, amarena, bucce di mandorle, foglie di capelvenere e miele; in Puglia, un decotto di fichi secchi, camomilla e carrube, o, in alternativa, di fichi, bucce di mandorle, foglie di alloro, malva, chicchi di melograno e fette di mela cotogna. Sempre in Puglia, uno sciroppo per il raffreddore si otteneva bollendo i fichi nel vino con noci, malva e miele, così come  i fichi secchi, messi a bagno la sera, erano utilizzati a digiuno al mattino contro la stitichezza. Per ottenere un effetto lenitivo, ammorbidente e decongestionante della pelle, si preparava un impiastro a base di fichi secchi, aglio, cipolla, foglie di malva e bulbi di scilla, il tutto impastato con olio di oliva; e un cataplasma di fichi secchi tritati e lasciati a bagno era impiegato per foruncoli ed ascessi. Su ascessi e ferite, per fini rinfrescanti, erano impiegate le foglie del fico, mentre col lattice si curavano le verruche e i porri, e lo si usava come antidolorifico per il mal di denti.