L'Ecloga Theoduli (Ecloga di Teodulo) è una composizione di trecentoquarantaquattro esametri rimati, che, in forma appunto di ecloga, narrano la sfida fra due pastori, Alitia e Pseusti, al cospetto di Fronesi. Il modello di riferimento sono ovviamente le Ecloghe virgiliane, anche se la composizione è in realtà molto più simile ad un conflictus (contrasto poetico) che ad un’ecloga vera e propria.

Nel Medioevo, abbiamo contrasti poetici (o conflitti, o contese che dir si voglia) sia in prosa che in poesia: basati sull’antitesi e la personificazione allegorica, che ben si inquadrano nel gusto dell’epoca, la loro fortuna è vastissima, sia nella letteratura in latino che in quelle romanze. A dare origine al genere è il Conflictus veris et hiemis Conflitto della primavera e dell’inverno di Alcuino, che si pone all’inizio di una ricchissima e fortunata tradizione letteraria, ed è importantissimo per la mediazione dell’influenza virgiliana nella forma della contesa. Dopo di lui, abbiamo conflitti fra l’angelo e il diavolo, il cristiano e l’ebreo, il ricco e il povero, l’anima e il corpo; il bene e il male, la menzogna e la verità, la fortuna e la virtù; spunti dal mondo della natura animano discussioni fra le stagioni,  fra gli animali, fra i fiori…; né mancano temi tratti dalla storia antica o dal mito. Fra i generi letterari che mostrano il contributo originale del Medioevo al patrimonio delle forme letterarie, il contrasto è sicuramente uno dei più vivi e produttivi, né i precedenti tardo antichi (soprattutto le ecloghe) bastano a giustificarne l’origine e la diffusione: sicuramente, la fortuna nasce – come abbiamo detto – dalla possibilità di presentare personaggi simbolici come assertori di tesi opposte, e dal fatto che antitesi e personificazione allegorica si inquadrino a pieno nel gusto medievale; ma è una fortuna che si può spiegare solo riferendosi anche al folklore, ai contenuti popolari tradizionali, ad un contesto ‘spettacolare’.

 

Genere a parte, l’Ecloga Theoduli, come del resto altri testi medievali, è una sorta di puzzle insoluto.

 

Lo studio più recente si deve a Francesco Mosetti Casaretto, che, oltre a curarne l’edizione, ha tradotto l’ecloga e corredato il testo di un ricchissimo apparato di note. Facendo il punto degli innumerevoli contributi critici ed esegetici sul testo, Mosetti propone una sua interpretazione, che però non scioglie certo i numerosi dubbi sia in relazione al testo stesso, sia per quanto concerne la personalità del suo autore, nonché la collocazione spaziale e temporale dell’Ecloga.

 

Dei trecentoquarantaquattro esametri che la compongono, i vv. 1-36 descrivono la cornice dell’incontro. Siamo in Etiopia, nel giorno del solstizio d’estate (24 giugno). Un pastore ateniese, Pseusti, coperto dalla pelle di una pantera, pascola le sue caprette sulla sponda di un fiume: si ferma all’ombra di un tiglio e suona la sua zampogna. Dall’altra parte del fiume, Alitia, una bellissima giovane della stirpe di Davide, pascola le sue pecore, suonando la cetra in maniera così dolce che persino il fiume si ferma e le pecore smettono di mangiare. Preso dall’ira, Pseusti le propone una sfida musicale: chi vincerà avrà lo strumento dell’altro. Alitia è convinta che, qualunque sarà l’esito, Pseusti non ammetterà mai la sconfitta: accetta la sfida solo perché vede arrivare Fronesi, che viene ad abbeverare il proprio gregge. Fronesi accetta di fare da giudice e fa iniziare Pseusti in quanto maschio.

Seguono settantacinque quartine, in cui si alternano Pseusti (trentasette) e Alitia (trentasette): i due elencano tutta una serie di corrispondenze fra gli antichi miti e la tradizione cristiana (ad esempio, età dell’oro e paradiso terrestre / età dell’argento e esilio dall’Eden / Deucalione e Pirra e il diluvio di Mosè / gigantomachia e torre di Babele / Medea e Giuditta, ecc.). Durante la sfida, Pseusti mostra in almeno due occasioni il suo sconforto, ed ha un vero e proprio crollo dopo i vv. 329-332, quando Alitia afferma che parlerà di Cristo e Pseusti, nell’ultima sua quartina (la trentottesima) chiede addirittura a Fronesi di farla tacere. Alla fine, Fronesi attribuisce la vittoria ad Alitia.

I nomi dei tre personaggi sono ovviamente nomi ‘parlanti’: Alitia (dal greco Aletheia) significa verità, Pseusti (Pseustis) menzogna, Fronesi (Fronesis) prudenza o sapienza. Alitia è dunque la verità cristiana, Pseusti la menzogna pagana, e l’ecloga è una drammatizzazione di due opposte categorie culturali: ma, a parte questo, il testo è di difficilissima interpretazione. Peraltro, non sappiamo quando fu scritto, e non ne  conosciamo l’autore.

 

Sulla data di composizione, Mosetti, in maniera abbastanza convincente, colloca l’Ecloga fra la seconda metà del IX secolo e l’inizio del X (almeno dopo l’840). Quanto all’autore, varie sono le ipotesi, ma la domanda fondamentale si riduce a una: esistette davvero un Teodulo, o si tratta di uno pseudonimo (theos + doulos = servo di Dio)? E, in tal caso, perché uno pseudonimo?

Dall’XI al XIV secolo Teodulo gode di piena dignità onomastica; a partire poi dal XIV secolo, l’identità per così dire si sgretola; oggi, a partire dal 1836 (data di pubblicazione della prima edizione moderna), l’ipotesi dello pseudonimo è la più accreditata. Anche nel Medioevo, comunque, pur se non viene mai messa in dubbio l’autenticità del nome, nulla si sa e si dice dell’autore stesso, salvo alcune generiche notizie fornite dal primo commentatore Bernardo di Utrecht (XI secolo). Bernardo lo dice nato parentibus non infimis sed christianis (da genitori non di umile origine ma cristiani); afferma che, puer (fanciullo), studiò in Italia e poi in Grecia e che conosceva il latino e il greco; che, mentre era ad Atene, udì gentiles cum fidelibus altercantes (pagani che disputavano con fedeli cristiani), e che, al ritorno, rese quelle dispute sotto forma di ecloga allegorica; la morte lo colpì prima che potesse emendare il suo scritto, il che giustifica i paucos nevos (pochi difetti) presenti; morì sub clericali norma (all’interno di un ordine clericale). Come si può capire, sono in realtà delle non-notizie, ma semplici annotazioni di ‘genere’ facilmente ricostruibili. Uno studioso (Winterfeld) congetturò che Theodulos fosse la traduzione grecizzante del tedesco Gottes Schelk (servo di Dio), e attribuì l’ecloga a Godescalco d’Orbais, uno  studioso di S. Agostino, predicatore itinerante, condannato per eresia e morto in carcere in Francia nell’anno 868: ma l’ipotesi era destinata a naufragare, per l’incongruenza dell’ecloga con la produzione dello stesso Godescalco.

In ogni caso, se di pseudonimo si tratta, perché l’autore si sarebbe voluto celare? La risposta è che potrebbe semplicemente trattarsi della fuga dal protagonismo e della professione di fede di un monaco. Per Mosetti, l’autore – che potrebbe effettivamente chiamarsi Teodulo, dato che si tratta di un nome ben attestato – è sicuramente un monaco (fra l’altro, se anche si trattasse di pseudonimo, servus Dei designerebbe proprio il monaco, in quanto appartenente alla militia Christi, all’armata di Cristo).

Mosetti indaga anche l’ambiente culturale in cui sarebbe maturata la composizione e ipotizza che Teodulo possa aver gravitato attorno al monastero svizzero di San Gallo: sulla base di una serie di riscontri di fonti e su elementi interni all’ecloga, conclude anzi che potrebbe trattarsi di un autore formatosi nell’ambito del monachesimo irlandese, e trasferitosi poi in continente, appunto nell’area del monastero di San Gallo.

C’è stato anche però chi ha identificato l’autore in una donna, basandosi su una sorta di sentimento ginofilo presente nel testo.

Mosetti, fondandosi soprattutto sul fatto che servus Dei designerebbe il monaco, liquida l’ipotesi, sostenendo che il poeta non si discosterebbe minimamente  dalla mentalità corrente del contemptus muliebri (disprezzo verso le donne), né dal tono tendenzialmente antifemminile della letteratura monastica medievale: sennonché la sua contestazione dell’ipotesi di una scrittura ‘femminile’ dell’ecloga non sembra troppo convincente.

 

Non voglio affatto sostenere che l’autore sia in realtà un’autrice: mi limito semplicemente ad annotare che l’ipotesi non può essere liquidata sulla base dei motivi da lui avanzati.

-         Il fatto che Fronesi attribuisca a Pseusti il privilegio di iniziare quia masculus (perché maschio) è qualcosa di decisamente formale, e non tradisce nessuna adesione al modello di predominanza maschile: fra l’altro, non solo il privilegio concesso al maschio di iniziare implica per la donna il privilegio di concludere, ma Pseusti è, fin dall’inizio, destinato a soccombere.

-         Le espressioni misogine sono poco pregnanti in un contesto in cui Verità e Giustizia sono donne.

-         La giustapposizione teologica è allargata all’ambito sessuale: e non a caso, forse, la menzogna è masculus.

Per di più, ipotizzare come ‘autore’ una donna consentirebbe di spiegare alcuni fatti.

-         Innanzi tutto, l’uso di uno pseudonimo.

-         In secondo luogo, alcune anomalie del testo. Tutti i versi sono estremamente problematici e di difficile interpretazione (lasciando perdere gli elementi più complessi, basti pensare alla citazione in apertura dell’Etiopia, alla comparsa del tiglio al posto dell’usuale faggio virgiliano, alle segnalate diversità dei tre greggi – di capre quello di Pseusti, di pecore quello di  Alitia, indeterminato quello di Fronesi –, al fiume che scorre in mezzo, alla pelle di pantera di Pseusti, alla contrapposizione zampogna/cetra, all’appartenenza di Alitia alla stirpe di Davide, all’immagine orfica del fiume che si ferma e degli animali che smettono di mangiare…): ma ci sono anche alcune piccole stranezze a livello linguistico. Innanzi tutto, la stessa denominazione greca del capraio è problematica, dato che il sostantivo greco scelto è di genere femminile (scarsa familiarità dell’autore col greco?); al v. 9, Alitia è definita virgo (vergine) al v. 26, Alitia dice nostra Fronesis, dove non si capisce il perché del nostra; al v. 30, c’è mater Fronesis (madre Fronesi), dove ugualmente non si capisce il mater; al v. 335, Pseusti, rivolgendosi a Fronesi, le chiede di far tacere Alitia dicendo Obsecro te, Fronesi, iubeas reticere sorori (ti supplico, Fronesi, fai tacere tua sorella), dove non ha senso definire Alitia come sorella. Forse, immaginando una lettura fra monache, si potrebbero spiegare il femminile Pseustis, il nostra Fronesis, il mater, il soror, il virgo: come una sorta di doppio registro fra il personaggio e le voci recitanti.

Noto anche che, in ogni caso, i luoghi comuni misogini, ad una lettura corsiva, sembrano sicuramente più presenti in Pseusti (che sempre menzogna è!) che negli altri ‘attori’ dell’ecloga.

Credo insomma che l’ipotesi di una scrittura femminile andrebbe più attentamente indagata.

 

Poche parole conclusive sulla fortuna del testo. Tranne che in Italia, dove venne accantonata prima, per la totale contraddittorietà dello spirito umanistico con gli schemi mentali in essa rappresentati, l’Ecloga Theoduli fu tra i libri più letti e copiati in Europa fino alla metà inoltrata del XVI secolo, qualificandosi come uno dei prodotti letterari più conosciuti dal medioevo post-carolingio: basti dire che ne sono stati censiti ben centosettantasei manoscritti e novantasei stampe.  

Teodulo è dunque, di fatto, una delle Auctoritates della cultura mediolatina.

Immessa nel circuito scolastico già dall’XI secolo, grazie al commento di Bernardo, la fortuna dell’Ecloga conoscerà una sorta di esplosione col suo ingresso nel cosiddetto Libro catoniano (una silloge didattica elementare che si stabilizza nel Duecento, e che comprende i Distici di Catone, ovvero la  raccolta di sentenze – formata ognuna da una coppia di esametri – attribuita a Catone il Censore, Il rapimento di Proserpina  di Claudiano, l’Achilleide di Stazio, i Rimedi d’amore di Ovidio, ecc.): e sarà questo contenitore il veicolo che trasporterà l’Ecloga stessa nella storia, amplificandone la portata e inserendola nel meccanismo didascalico degli Accessus ad auctores, ovvero in quella sorta di manuali in cui autori antichi e medievali venivano introdotti da brevi trattazioni contenenti le notizie indispensabili per una loro buona interpretazione, e che, assieme ad altri tipi di raccolte (Florilegi, Detti, Opinioni, Sentenze, ecc.) rientrano sotto il denominatore comune di Auctoritates.

 

 

Le ragioni della fortuna scolastica dell’Ecloga sono molteplici: sicuramente significativa è la propedeuticità virgiliana unita al carattere antivirgiliano e antiprofano; importante anche la parificazione culturale dell'elemento classico-pagano e di quello biblico-cristiano, con una sorta di razionale concordanza sul piano dell'exemplum; fondamentale il fatto  che essa sia un modello esemplare dell'atteggiamento medievale capace di risolvere l'antitesi fra il gusto per i classici e il rigorismo attraverso la mediazione del moralismo allegorico.