Parlando di Egeria e del suo pellegrinaggio in Terrasanta, abbiamo già ricordato di quale libertà godesse il mondo femminile cristiano nei secoli IV e V, accennando anche al vasto ambiente femminile che ruotava attorno a San Girolamo.

Riconosciuto e venerato dalla Chiesa cattolica come il più grande Dottore per l’interpretazione delle Sacre Scritture, Girolamo è soprattutto noto per la traduzione in latino della Bibbia – la cosiddetta Vulgata –, che tuttora, seppure revisionata, rappresenta l’unica versione autorizzata a circolare in tutto l’Occidente.

Per quanto concerne la vita, se ne ricordano prevalentemente l’origine dalmata, gli studi a Roma, i viaggi in Oriente e l’ordinazione sacerdotale, i tre anni di vita monastica nel deserto della Calcide, il ritorno a Roma e l’impegno come segretario del Papa Damaso – che lo incaricò anche di allestire una nuova traduzione del Nuovo Testamento e dei Salmi –, il ritorno in Oriente nel 385, la morte a Betlemme nel 419/20. Non mancano talora riferimenti alle nobili dame che, a Roma, lo elessero a proprio consigliere spirituale, e al fatto che alcune di loro, quando abbandonò Roma dopo la morte di Damaso, lo seguirono in Oriente.

A fornirci un quadro abbastanza esaustivo su queste dame e sulla natura dei suoi rapporti con loro è senza dubbio l’Epistolario di Girolamo, che di fatto rappresenta una sorta di racconto autobiografico. Nell’Epistolario, Girolamo ci conserva i nomi di almeno una ventina di donne, a molte delle quali indirizzava – con maggiore o minore frequenza – le sue lettere: lettere che si soffermavano su questioni teologiche, filologiche e di esegesi biblica; disquisivano sulle eresie; affrontavano temi quali la verginità, la morte cristiana, la vedovanza, l’educazione delle figlie, la monogamia, i requisiti di una vita pia; spiegavano passi biblici; illustravano i rituali e le loro origini; consistevano talvolta in difese e autodifese contro le calunnie di alcuni; avanzavano l’invito a raggiungerlo in Terrasanta; oppure, a livello per così dire più intimo, davano consigli spirituali, tessevano le lodi di alcune di loro, parlavano della malattia di altre, avevano la valenza di consolazioni o epitaffi per la morte di una qualche matrona o dei suoi cari.

Lo zelo religioso, la cultura e la vivacità intellettuale delle nobili matrone romane che gli erano vicine, oltre ad essere spesso elogiati dallo stesso Girolamo, sono facilmente intuibili dai contenuti e dal tenore delle lettere a loro indirizzate: ma, fra tutte, sembrano spiccare Paola e l’amica Marcella. Peraltro, quando Girolamo arrivò a Roma nel 382, furono proprio Paola e Marcella ad accoglierlo e ad introdurlo all’interno della loro cerchia e della comunità ascetica fondata da Marcella sull’Aventino dopo essere rimasta vedova; e che cosa Girolamo pensasse di Marcella è pienamente esplicitato nell’epistola 127 (numerazione in ordine temporale), in cui, a due anni di distanza dalla sua morte, invia alla vergine Principia, sua erede spirituale, l’elogio funebre della nobile matrona romana, mettendone in luce la figura con tratti precisi, delicati e vivi, e proponendola come modello da imitare. 

La casa di Marcella sull’Aventino era il punto di riferimento, per Girolamo e le sue numerose discepole, di studio della Scrittura.

Famoso l'incipit dell'epistola 65 indirizzata da Girolamo alla discepola Principia, e dedicata alla spiegazione del Salmo 44:

«So, o Principia, figlia in Cristo, di essere biasimato dai più perché talora scrivo alle donne e preferisco il sesso più debole ai maschi. Perciò devo prima rispondere ai miei detrattori e poi venire alla piccola spiegazione che mi hai chiesto. Se gli uomini mi facessero domande sulla Scrittura non parlerei alle donne».

Accusato di dedicarsi troppo alle nobili dame dell'aristocrazia romana sue discepole, Girolamo si difende dunque lamentandosi della mancanza di curiositas maschile nei confronti del testo sacro. La lettera continua poi esaltando le figure femminili dell'Antico Testamento, ed esortando le donne a non vergognarsi del loro sesso e i viri a non vantarsi del nome che portano, ricordando che a loro condanna, nella Sacra Scrittura, vengono lodati modelli muliebri.

Grazie all'epistolario di Girolamo, noi di fatto conosciamo bene le coltissime aristocratiche con cui si teneva in contatto: dame capaci di usare latino, greco ed ebraico per affrontare la Scrittura e per pregare, dame di cui ci sono noti il carattere, le virtù, le debolezze, persino i gusti esegetici. Scrivendo a Paola in occasione della morte della giovane figlia Blesilla (epistola 39), Girolamo ne ricorda l’eleganza della lingua, la memoria tenace, l'acume dell’ingegno; afferma che parlava perfettamente il greco e il latino, e continua affermando che «in un piccolo numero, non dico di mesi, ma di giorni, aveva vinto le difficoltà della lingua ebraica a tal punto che faceva a gara con sua madre nell'imparare e nel cantare i Salmi». Di fatto, Girolamo traccia di Blesilla il ritratto della studiosa ideale di Sacra Scrittura: e di fatto noi sappiamo, dalle lettere di risposta di Girolamo, che le dame – oralmente, ma anche per iscritto – Blesilla, come pure altre, erano solite sollevare questioni relative ai testi biblici ed esigerne spiegazione. Di fatto, le discepole progredivano nella difficile scienza dell'esegesi, fino ad allora appannaggio esclusivo di uomini, in ossequio a precisi moniti paolini. Marcella in particolare diventò molto brava, tanto che, partito Girolamo da Roma, fu lei a risolvere problemi esegetici per le sue compagne. 

Quando Girolamo lasciò Roma per tornare in Terrasanta, diverse donne della comunità lo seguirono: prima fra tutte, e ispiratrice del viaggio, fu Paola, che portò con sé anche la figlia Eustochio, e che finì con lo stabilirsi a Betlemme fondandovi un monastero femminile, a fianco di quello maschile gestito da Girolamo, nonché un ospizio. Marcella rimase a Roma. 

Fra le lettere di Girolamo ne abbiamo una (la 46, risalente agli anni fra il 392 e il 393, ovvero più o meno coeva dell’Itinerario di Egeria), che risulta scritta dalle sue due protette, Paola ed Eustochio: unico caso in cui l’autore non è Girolamo stesso, ed unica testimonianza di scrittura epistolare femminile dell’epoca.

Le due donne scrivevano da Betlemme alla loro più anziana amica e maestra Marcella, che abbiamo detto essere rimasta a Roma, vantando le meraviglie della Terrasanta ed esprimendo il desiderio che anch’essa le raggiungesse alla scoperta dei luoghi santi del Nuovo e Antico Testamento (la lettera è nota anche col titolo De sanctis locis).

Sull’autenticità dell’attribuzione della lettera a Paola ed Eustochio c’è stato e c’è un vasto dibattito, e la questione è ancora irrisolta: c’è infatti chi sostiene che essa sia stata scritta per loro conto da Girolamo; chi crede che sia stata quantomeno dettata da Girolamo alle due donne, e che per questo si trovi all’interno dell’epistolario; chi ritiene solo Paola l’autrice della lettera, ecc..

In realtà, non esistono prove o dimostrazioni che suffraghino le diverse ipotesi: l’unica cosa certa è che il tono generale – definibile come idilliaco e gioioso, a volte scherzoso, e con accenni di tenerezza verso l’amica lontana –, differenzia notevolmente questa dalle altre epistole di Girolamo, e fa decisamente propendere per una mano femminile.

Paola ed Eustochio si autodefiniscono discepole e chiamano Marcella maestra, citano le Scritture giustificandosi per non seguire l’ordine delle medesime, ricordano tutti i pellegrini che da tutto il mondo vanno in Terrasanta – lingue diverse, ma una sola religione:

«Il britanno, separato dal nostro mondo, se ha progredito negli studi religiosi, si lascia alle spalle il sole occidentale per cercare i luoghi che gli sono noti solo di fama e per i racconti della Scrittura. Perché poi parlare degli armeni, dei persiani, delle genti dell’India e dell’Etiopia, e del vicino Egitto ricco di monaci, del Ponto e della Cappadocia, della Celesiria e della Mesopotamia, e di tutte le folle d’Oriente?... Arrivano in questi luoghi e ci mostrano un modello di diverse virtù. Le loro lingue sono dissonanti, ma nella devozione essi sono tutti una cosa sola… Non c’è arroganza, non c’è vanto presuntuoso di temperanza, ma rivaleggiano fra loro solo in umiltà. Chiunque fra loro fosse l’ultimo, qui è considerato il primo. Nel vestire, nessuno cerca di distinguersi o di attirare l’attenzione. Ciascuno avanza come vuole, senza incontrare biasimo o elogi».

Gran parte della lettera è dedicata alla descrizione di Gerusalemme e solo in parte alla descrizione del pellegrinaggio che Paola ed Eustochio sperano di poter fare con Marcella; si parla anche di Betlemme come di un luogo in cui sfuggire al caos di Roma; si insiste sulla necessità di vedere coi propri occhi e riconoscere ciò che si trova scritto nei libri sacri; sul finire della lettera, la leva degli affetti per convincere Marcella a compiere il suo viaggio:

«Oh quando verrà il giorno in cui un trafelato viandante ci porterà la notizia che Marcella è giunta sul litorale della Palestina? E tutti i cori dei monaci e tutte le schiere di vergini giubileranno? Ci abbandoniamo già alla gioia di correrti incontro, e non su un carro, ma affrettandoci a piedi con lena. Ti terremo la mano, guarderemo il tuo viso, a fatica ci separeremo dal tuo abbraccio. E dunque non sarà quello il giorno in cui entreremo nella grotta del Salvatore? Il giorno in cui piangeremo con te – nostra sorella e nostra madre – nel sepolcro del Signore? Baceremo allora il regno della Croce, e saliremo in preghiera e in spirito sul Monte degli Ulivi insieme col Cristo? Vedremo Lazzaro venirci incontro avvolto nel suo sudario, e le acque del Giordano purificate dal battesimo del Signore?». 

Diversamente dall’Itinerario di Egeria, la lettera delle due donne è stilisticamente raffinata, ma, come già l’Itinerario,  è del tutto ‘vuota’ rispetto alle esperienze personali: tutto è esemplare, e quindi generalizzato; il pellegrinaggio è visto solo come viaggio spirituale, ma la spiritualità fatica molto a manifestarsi. Troviamo il topos delle genti di ogni paese in viaggio verso Gerusalemme, ma nessuna impressione su nessun pellegrino; troviamo l’ulteriore topos della varietà di nazioni che forma un’unità, fornendo così un perfetto esempio di carità cristiana; tutto è ridotto ad una visione ideale, alla visione di pace inscritta nel nome stesso di Gerusalemme. E, quando pregano Marcella di raggiungerle, il loro linguaggio assume il tono di pathos tipico dell’espressione cristiana dell’amicizia e dell’amore fraterno nei secoli seguenti: ma, di nuovo, c’è ben poco  di personale nelle loro parole, tanto che dal testo non si capisce nemmeno se hanno già visitato i luoghi santi, o se devono ancora farlo.

 

Attorno a Girolamo ruotava un mondo ricco ed eterogeneo di donne, ed altre fonti ci confermano l’esistenza di un vasto panorama di presenze femminili al di fuori degli angusti orizzonti domestici: nel IV/V secolo, le donne romane convertite al cristianesimo viaggiavano, compivano pellegrinaggi, raggiungevano livelli culturali elevati, si dedicavano con fervore agli studi biblici… Eppure, di tutta questa esperienza femminile, nulla ci è rimasto di scritto, se non la lettera di Paola ed Eustochio: e questa lettera è riuscita a giungere fino a noi solo perché conservata e tramandata all’interno dell’Epistolario di San Girolamo. Ancora una volta, insomma, come per la poetessa romana Sulpicia e per la martire cristiana Vibia Perpetua, le parole di queste due donne passano attraverso il filtro di una trascrizione maschile, e, come già per Sulpicia e Perpetua, questo ha comportato che fosse messa in dubbio l’autenticità della loro attribuzione.